lunedì 19 agosto 2013

Essere genitori di un atleta

Molto raramente nei libri di psicologia ci si occupa del ruolo del genitore all’interno del contesto sportivo del proprio figlio. In realtà nel menage di un’organizzazione sportiva di giovani atleti questo argomento, molto spesso, diventa oggetto di possibili difficoltà di gestione del ragazzo o  peggio ancora dell’intero gruppo squadra.

I genitori e le famiglie dei ragazzi sono i punti di riferimento principali per i giovani atleti e sono anche le persone che meglio conoscono i desideri, le emozioni e le capacità dei propri figli. Per questo motivo sono figure fondamentali che assumono un’importanza notevole come veicolo di avvicinamento alla pratica sportiva e di contenimento o condivisione di successi e sconfitte, di gioie  e dolori.

Nel momento in cui si iscrive il figlio in palestra anche il genitore può diventare ‘uno sportivo’ non con particolari doti od impegni fisici ma con la consapevolezza che fare sport significa apprendimento di regole, significa apprendimento di motricità fine, miglioramento di potenza, equilibrio, velocità ma anche apprendimento di dinamiche relazionali, di risoluzione di conflitti, di nuove strategie per il raggiungimento di un obiettivo per il proprio figlio. La maggior parte degli apprendimenti esulano dalle sconfitte e dalle vittorie e se il genitore sarà in grado di trasmettere anche questi insegnamenti nascosti, indipendentemente dall’arrivare o meno ad essere un grande 
‘campione’, lo sport sarà servito al ragazzo per crescere ed affrontare con efficacia le sfide che la vita costantemente ci propone.

Il mantenimento costante dell’impegno preso, soprattutto nelle situazioni di maggior difficoltà, dovrebbe essere sostenuto dal genitore per insegnare al ragazzo che, anche  in momenti più o meno  lunghi di noia, di sconfitte, di non- apprendimento o di non- divertimento, è importante proseguire per affrontare la complessità, per modificare la propria percezione, per trovare strategie utili di risoluzione del problema.

In alcuni momenti questo lavoro può essere fatto in collaborazione con l’allenatore che diventa l’adulto di riferimento per il minore nel contesto sportivo. In realtà, accade spesso che il genitore tenda a colpevolizzare l’allenatore di eventuali ‘cali’. Questa modalità sposta nel giovane atleta la responsabilità all’esterno (è colpa dell’allenatore se non ne ho voglia perché gli allenamenti sono noiosi, è colpa dell’allenatore se non gioco perché non gli sono simpatico…) che, vedendo la situazione come immodificabile, perché non dipendente da lui, tenderà a ritirarsi piano piano dal 
contesto. Il ritiro impedisce all’atleta di conoscere i propri pregi e difetti , i propri limiti quindi di acquisire consapevolezza sul proprio modo di essere per poi poter ampliare la gamma di abilità, di capacità e di strumenti utili per affrontare quella che è la quotidianità dell’adulto.

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